19 luglio 2013. Beatrice Monroy racconta “Niente ci fu”

È il 26 dicembre del 1965, Alcamo, Francesca ha diciassette anni e, come tante ragazze d’allora, viene rapita e stuprata. Quel genere di rapimenti si concludevano, di solito, con le nozze, consentite dall’articolo 544 del Codice penale (il c.d. Codice Rocco) che prevedeva il matrimonio riparatore. Ma questa volta accade qualcosa di diverso: la famiglia decide di denunciare il rapitore che finisce il galera. Franca diventa un’eroina popolare, la ragazza che – per prima – disse no. Altre giovani, dopo di lei, troveranno la forza di ribellarsi a un destino terribile grazie alla sua scelta.
A raccontare la storia di Franca Viola, secondo la sua sensibilità di narratrice, per il secondo appuntamento di “Terrazza d’Autore” 2013, è stata scrittrice e narratrice palermitana Beatrice Monroy con il suo libro “Niente ci fu”.
“La violenza – ha commentato il presidente della Fondazione Pasqua2000, monsignor Liborio Palmeri – è, prima di tutto, nella testa. E’ compito della cultura educare ad un nuovo codice, pacifico, della coscienza; è compito di tutti i cittadini accogliere il dono di una conoscenza che li emancipa e li rende sempre più consapevoli protagonisti di una società che desiderano più giusta”.

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13 luglio 2013. Giacomo Pilati racconta “Le Siciliane”

Sono state le voci de “Le Siciliane” di Giacomo Pilati ad aprire, sabato 13 luglio, la serie di incontri dell’edizione 2013 di “Terrazza d’Autore”, la rassegna letteraria curata da Stefania La Via e Ornella Fulco per la Fondazione Pasqua2000, nell’ambito delle attività di promozione della lettura della Biblioteca diocesana “Giovanni Biagio Amico” di Trapani. “Le donne sono state troppo tempo in silenzio – dice Giacomo Pilati – per anni hanno nutrito passioni e dolori nel chiuso delle loro case. Sono le loro parole nuove che mi hanno sedotto di più. L’indecifrabile attaccamento alla verità. La verità e basta. Donne che non vivono di ricatti presenti o passati. Che sono forza e basta. Lontane anni luce dai modelli imposti dalla televisione, dai giornali e purtroppo anche dalla politica”. Dalla sconosciuta “pastora” di Castelbuono, a Felicia Bortolotta Impastato, madre di Peppino, dalla battagliera maestra di Camporeale Maria Saladino a Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime della strage mafiosa di Pizzolungo, sono tante e diverse le “voci” delle donne siciliane che Pilati ha incontrato e scelto di “fermare” nei due libri che hanno raccolto le loro testimonianze. “Se ho scritto questi libri è perché loro, le donne siciliane – dice ancora Pilati – la loro storia l’avevano già scritta. Alcune col sudore, altre col sangue. Ma sempre con l’inchiostro limpido di chi ha fatto della propria vita una scelta, sempre consapevoli di dovere pagare alla fine il prezzo più alto”.

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Ornella Fulco e Renzo Cremona leggono “Neve”

Il poeta veneziano Renzo Cremona si ripropone al pubblico trapanese con un recital-evento di rara bellezza in cui è protagonista la neve sotto tutte le sue forme. Voci di Ornella Fulco e Renzo Cremona. Con la partecipazione di Desirée Baiata e Gaspare Fodale. Trapani, 15 Dicembre 2012, Palazzo De Filippi.


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19 Agosto 2012. Stefania La Via racconta “Retablo”

Stefania

Viaggio nella Sicilia degli eccessi e dei contrasti, terra popolata di briganti e di signorotti, di miserie e ricchezze, in un Settecento che non appare poi così distante dalla tormentata epoca attuale, e insieme scavo nell’ “antichitate” della nostra lingua, nelle sue risonanze segrete e nei suoi echi lontani, Retablo è uno dei romanzi più interessanti dello scrittore siciliano Vincenzo Consolo. Lo si potrebbe definire, come è stato detto, “una poesia in forma di romanzo”, un canto d’amore appassionato per una terra enigmatica e inafferrabile, una terra da cui è dolorosamente necessario separarsi per potere avere una migliore prospettiva di osservazione.

Il tema centrale è quello del viaggio, inteso  come ricerca, ma anche come fuga, vagabondaggio per placare l’anima ed esplorazione per nutrirla, viaggio della memoria e del futuro. Fabrizio Clerici, pittore illuminista, gentiluomo misurato, distaccato e razionale fugge da un amore infelice a cui vuole prontamente opporre il “contravveleno” della distanza, prima che si impossessi definitivamente di tutto se stesso: l’amore per donna Teresa Blasco, che gli ha preferito il giovane Cesare Beccaria (il noto autore del pamphlet Dei delitti e delle pene). Egli, partendo da Milano, intraprende questo viaggio per allontanarsi da lei ma anche per descriverle le bellezze della Sicilia, terra della madre di donna Teresa. E in fondo questo allontanarsi non è che un tentativo di possederla più intimamente, di conoscere le sue radici, la parte più intrinseca e nascosta del suo essere.

“Retablo” è un termine catalano. Si tratta di una narrazione pittorica costituita da tavole poste in sequenza, in cui spesso si associano pittura e scultura. Istintivamente il lettore collega il titolo alla presenza nel romanzo di quattro storie giustapposte che di volta in volta si incrociano e si sovrappongono, per poi tornare a separarsi: le storie di don Fabrizio Clerici, di donna Teresa Blasco, del focoso frate Isidoro e della bella e misteriosa popolana Rosalia. Ma il senso del titolo non è solo questo. Il senso profondo del “retablo” ce lo spiega il romanzo stesso, quando i due viaggiatori, il pittore illuminista e il frate siciliano, che lo accompagna, durante una festa popolare si imbattono nel “retablo delle meraviglie”, un trittico a rilievo di carta pesta o stucco, coperto d’una polvere dorata, privo di figure vere, ma con increspature, rialzi e avvallamenti…Un’opera strana e misteriosa dove ognuno può leggere ciò che vuole…

Fantastico, incantato, bruciato dal sole, il mondo descritto in questo romanzo appassionante. Un mondo di luce e di tenebra su cui la scrittura sperimenta il rischio della propria fallibilità: “Siamo costretti tutti quanti vogliamo rappresentare questo mondo: il musico, il poeta, il cantore, il pintore, a rimanere ai margini, ai bordi della strada…guardiamo, esprimiamo e talvolta, con invidia, con nostalgia struggente, allunghiamo la mano per toccare la vita che ci scorre per davanti…”

E tutto ciò in una prosa straordinaria  resa viva e animata, in occasione del “racconto” che Stefania La Via ha offerto al folto pubblico di Terrazza d‘autore,  dalla sapiente interpretazione del lettore Giovanni Barbera.

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10 Agosto 2012. “Sedici settimane. Δεκάξι βδομάδες” di Renzo Cremona

Il poeta Renzo Cremona torna a “Terrazza d’Autore” con il suo “Sedici settimane. Δεκάξι βδομάδες” Ventotto microcosmi proposti in italiano e neo greco che – appartenenti al medesimo universo – pongono limiti e relazioni. La tematica amorosa si riferisce spesso alla notte come luogo altro o di unità fisico-spirituale di non facile approdo, che diviene “isola perfetta”. Ideale e materia creano quel doppio nodo verso l’incognito, esemplato dal distico “ci sono nella notte reti profonde. Solo le correnti sanno dove portarle”.

Scritto da il 12-08-2012    Commenti disabilitati su 10 Agosto 2012. “Sedici settimane. Δεκάξι βδομάδες” di Renzo Cremona

5 Agosto 2012. “Il mondo in una stanza”. Alessandro Bertirotti racconta Emily Dickinson

Nel quarto appuntamento di “Terrazza d’Autore” il professore Alessandro Bertirotti ha raccontato il mondo segreto di Emily Dickinson, “la sua lettera al mondo”, secondo la definizione data in versi, dalla stessa poetessa, alla propria poesia. Figura enigmatica e affascinante, bianca vestale della poesia, Emily Dickinson scelse di isolarsi dal mondo facendo della scrittura un epistolario in versi per un destinatario ignoto. Alessandro Bertirotti è antropologo e docente di Psicologia generale presso l’Università degli Studi di Genova.

Scritto da il 07-08-2012    Commenti disabilitati su 5 Agosto 2012. “Il mondo in una stanza”. Alessandro Bertirotti racconta Emily Dickinson

31 Luglio 2012. “Tutto questo un giorno ti sarà utile”. Sulle tracce di Pavel Florenskij

Fabrizia Sala – scrittrice, psicologa e psicoterapeutaha proposto un viaggio nell’opera e nel pensiero di Pavel Florenskij, noto come il “Leonardo da Vinci della Russia” per essere stato matematico, fisico, ingegnere, e, sull’altro versante, teologo, filosofo, storico dell’arte. Marito e padre di cinque figli, fu anche sacerdote ortodosso, status che gli costò la vita nel 1937 quando fu fucilato, per ordine del regime comunista, dopo aver trascorso quattro anni in prigionia nel gulag delle isole Solovki. Ripercorrere la vicenda umana di Florenskij ci restituisce, dopo decenni di oblio seguiti alla sua scomparsa, la figura di un uomo libero, restio a ogni compromesso, unicamente interessato alla ricerca della verità. “La vita non è affatto una festa – scriveva ai figli dal gulag – ma proprio rendendosi conto di questo bisogna avere dinnanzi allo sguardo interiore l’armonia e cercare di realizzarla”.

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25 Luglio 2012. “Volare per scrivere. Tra le pagine di Antoine de Saint Exupéry”

Il secondo appuntamento dell’edizione 2012 di Terrazza d’Autore è stato curato da Maria Antonietta La Barbera – già docente di Letteratura Francese all’Università degli Studi di Palermo – che in “Volare per scrivere, tra le pagine di Antoine de Saint Exupéry” – ha raccontato gli aspetti inediti della biografia e dell’opera di “un uomo in confidenza con le stelle”, dai più conosciuto soltanto come l’autore de “Il piccolo principe”.  Una vita intensa, quella dello scrittore francese, alla continua ricerca della libertà, sia nella scrittura sia nella passione per il volo, che lo porterà alla morte nel 1944. Saint Exupéry ci ha insegnato che ognuno di noi proviene dalla sua infanzia “come da un Paese ricco e sconosciuto” e che non bisogna mai dimenticarsi di essere stati bambini.

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Scritto da il 29-07-2012    Commenti disabilitati su 25 Luglio 2012. “Volare per scrivere. Tra le pagine di Antoine de Saint Exupéry”

10 Luglio 2012. Ornella Fulco racconta “Sulla punta del mare”

“Credo di essermi innamorato di te. Laura si aggiusta i capelli. E rimane così, con lo sguardo trattenuto dalla testa. Non scherzare, George. Io ti sposo, Laura”. Comincia così la storia d’amore lunga una vita raccontata dallo scrittore trapanese Giacomo Pilati nel suo ultimo libro “Sulla punta del mare”. George, poeta inquieto e appassionato, e Laura, innamorata e devota, si trovano, si perdono e si ritrovano tra due continenti, l’America e la Sicilia, che sono anche due modi diversi tra loro di vivere, di pensare, di immaginare il futuro. La loro storia è liberamente ispirata a quella del poeta siculo-americano Nat Scammacca e della moglie Nina.

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11 marzo 2012. La Poesia al tempo della crisi


Quanto è credibile la profondità dello sguardo con cui il poeta esalta le qualità dell’amata o la bellezza della natura, se non si accorge della morte e della devastazione che gli stanno intorno? Questo sguardo disinteressato, se lo consideriamo con attenzione, è uno sguardo morto, senza sentimento.[…] Non possiamo più scrivere della bellezza che vorremmo, dobbiamo fare in modo che la devastazione dell’impoetico diventi il centro del nostro interesse, perché la bellezza è l’uomo stesso e, se vogliamo difenderla, dobbiamo preoccuparci dell’uomo e di cosa potrebbe distruggerlo”. Così scrive il poeta ed editore Gianmario Lucini nella prefazione all’antologia poetica “La giusta collera. Scritti e poesie del disincanto”,(CFR Edizioni, 2011) che ho avuto l’onore e il privilegio di presentare lo scorso 11 marzo in occasione di una tavola rotonda su “La Poesia al tempo della crisi” a Trapani presso la Sala “G.B. Amico” della Biblioteca Diocesana. Un incontro-dibattito  aperto su  temi che appaiono fondamentali quando si discute di poesia contemporanea: rapporti tra editoria e poesia in Italia  e tra poesia e sua fruizione da parte del pubblico. Quali i percorsi possibile della poesia oggi, in un orizzonte critico non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto culturale e valoriale? Può la poesia mantenersi su un piano autoreferenziale e narcisistico o deve scendere a patti con la realtà, impegnandosi ad assumere un ruolo di orientamento anche in campo sociale? La poesia può trasformarsi da innocua piantina d’appartamento in albero frondoso alla cui ombra trovare riparo? Fuor di metafora, in occasione del dibattito e alla presenza di un pubblico numeroso e partecipe, si è tornati a parlare di poesia come alta forma di impegno civile. Una ricerca del perduto ruolo del poeta e di una poesia in grado di aprire finestre e spalancare orizzonti. Con il poeta Lucini hanno dialogato, oltre alla scrivente, il poeta dialettale e critico Marco Scalabrino, la professoressa Maria Antonietta La Barbera, già docente di Letteratura Francese presso la Facoltà di Lettere di Palermo, la dottoressa Fabrizia Sala, scrittrice, piscologa, psicoterapeuta e conduttrice di laboratori di scrittura creativa e del sé. Alcuni testi tratti dall’antologia sono stati letti da Ornella Fulco.
Le impietose statistiche ufficiali sulla lettura dichiarano che in Italia si legge poco, anzi pochissimo e che all’ultimo gradino per numero di libri letti sta proprio la poesia. Eppure in Italia ci sono ben sedici milioni di poeti (così affermano i cataloghi editoriali!) o sedicenti tali. Un’offerta assolutamente spropositata alla domanda, direbbero le leggi di mercato. Che infatti agiscono impietose: ogni anno centinaia di migliaia di libri di poesia vanno al macero. Gli editori rifiutano di pubblicare un poeta perché non riescono a venderne i libri, se lo fanno ciò avviene esclusivamente a spese dell’autore e in questo caso la qualità dell’opera non è più un parametro di riferimento. L’eccesso di produzione è sempre a discapito della qualità. Proprio per questo, come ha spiegato Lucini, sarebbe importante restituire il proprio ruolo ad una critica di valore e non prezzolata. Si è discusso dei numerosi concorsi letterari che fioriscono in ogni dove e dei readings, spesso improvvisati, dove la nobiltà del testo poetico è il più delle volte vilipesa da letture monocordi, disattente o sciatte e incerte  il cui effetto è quello di allontanare ancora di più i potenziali lettori.
Oggi siamo intossicati di parole. La gente, in modo più o meno consapevole, è in cerca di una parola pura, vera, senza orpelli supplementari. Non la verità della Bibbia ma un altro tipo di verità: la verità di chi crede in qualche cosa e cerca di rappresentarla, di comunicarla agli altri, di farla vedere. La poesia, nella melma dei disvalori, riesce a conservare “quanto resta” del senso dell’uomo. E’ memoria, nel senso più alto del termine. Il poeta Davide Rondoni afferma che il poeta è un uomo che ha messo a fuoco la propria vita e con le sue parole ci aiuta a mettere a fuoco la nostra. Ecco a cosa serve questo oggetto sfuggente, così bisognoso di esibirsi e al contempo così refrattario ad essere considerato, soppesato, valutato, venduto.
La grande poetessa Wislawa Szymborska, recentemente scomparsa, era solita ricordare  che bisogna evitare di essere poetici a tutti i costi. La vera poesia rifugge dalla poeticità, perché la poeticità è noiosa, ripetitiva. La poesia, come del resto tutta la letteratura, trae le sue forze vitali dal mondo in cui viviamo, da vicissitudini davvero vissute, da esperienze davvero sofferte. Del resto, per capire l’attualità la storia non basta: servono gli umori, le passioni. Claudio Magris, nell’introduzione alla collana di poesia contemporanea recentemente edita dal Corriere della Sera, afferma con coraggio che “la poesia non è un’evasione né tantomeno una sublimazione spiritualeggiante della realtà: è anzi spesso uno dei suoi ritratti più precisi, spietati, autentici. Non dà informazioni sui fatti, sulla crisi economica, sulle leggi che regolano la società ma dice come gli uomini vivano tutto questo. Dice la verità della realtà più vera, più corposa e concreta: la vita di ogni singolo individuo. Non è realtà disincarnata”. Per dirla con le parole di Eliot: “Il grande poeta, nello scrivere se stesso scrive il suo tempo”.
Forse è per questo che oggi non si legge più poesia? Perché la poesia non ci parla più di noi, non rappresenta una lettura approfondita del presente e non ci dà la misura dell’umano, ma ci racconta solo del piccolo mondo privato e dei melensi sospiri di un io egocentrato? È l’oggettività della poesia che manca, il coraggio di legare il particolare di un’esperienza ad un senso della totalità umana.
Sulle responsabilità  che ha in questo senso anche la scuola  è nato un vivace dibattito nel corso della tavola rotonda. L’errore di molti insegnanti è quello di anteporre il piacere del commento e dell’analisi all’emozione diretta che il testo può dare. Bisognerebbe ripartire dai testi,  far conoscere ai giovani la grande poesia dell’oggi, magari portando i versi di un poeta a supporto di un qualsiasi argomento di studio, se si trovano delle attinenze. E poi, semplicemente, “regalare”  versi agli alunni senza pretendere in cambio nulla: né un commento, né un’analisi o peggio una parafrasi. Creare occasioni di incontro con i poeti, quelli veri. Invitarli nelle scuole, farli dialogare con i giovani. Mostrare che la poesia non sta nei libri ma è vita davvero vissuta. La poesia è intorno a noi.  Far comprendere il grande potere della poesia di opporsi all’abbandono della lingua che ha portato all’italiano impoverito che gli adolescenti di oggi usano. La potenza del verso ridà freschezza alle parole logorate, stinte, sfiammate dall’uso e le rende miracolosamente nuove.
La poesia è anche un eccezionale  strumento educativo per far emergere quella che viene definita intelligenza emotiva, un vero e proprio allenamento all’emozione e molti dei nostri giovani sono degli analfabeti emotivi, circondati da una società delle immagini che li costringe a vivere in superficie, senza mai scendere nelle profondità di se stessi, senza mai conoscersi. La poesia ci abitua ad affinare lo sguardo, a renderlo più intenso, più sensibile, più affettuoso, più profondo. È questa in definitiva la funzione morale della poesia, far riconoscere all’uomo, ad ogni uomo, qualche nota sostanziale della propria natura, ritrovandola dentro l’emozione di un testo.
Non esiste il “poetico” in sé, la poesia deve essere disposta anche ad accogliere l’impoetico. Parole come bancomat, spread, crisi economica, operatore telefonico, disoccupazione hanno pieno diritto di cittadinanza in poesia. Tutto ciò che ci circonda se lo viviamo con coscienza e lucidità può contribuire alla nostra “umanescenza” , l’inesauribile potenzialità e ricchezza dell’essere uomini. Ecco il ruolo della Poesia “al tempo della crisi”.

Stefania La Via

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, questo contributo da una giovane partecipante all’incontro

“La poesia al tempo della crisi”

C:condivisione, collaborazione.
R:responsabilità.
I: impegno.
S: sogno, speranza.
I: insieme, perché da soli non si va e non si andrà mai da nessuna parte.
Una volta in un libro ho letto che se un paese è in crisi lo è anche la sua cultura e tutto quello che lo circonda e che lo caratterizza.
C’è crisi, infatti, anche mentale perché la mente è offuscata dalle varie distrazioni date dalla televisione spazzatura e dai videogiochi e ormai pochi giovani si dedicano alla scrittura e al silenzio mentale che aiuta a ragionare e a conoscere lati di se stesso che mai si sarebbero potuti scoprire tra un film e un altro.
P: parole.
O: oscure.
E: enigmatiche.
S: silenziose.
I: istintive.
A: amate.
Dove sono finite le parole?
Dove sono finite le emozioni?
Dove si è nascosta la poesia?
E dove si sono nascosti i poeti?
Stanno aspettando che qualcuno cresca ed impari ad amare ogni forma di parola, di poesia, letta in silenzio o ascoltata, ma ormai la gente non legge più poesie, alemeno la maggior parte, perché la poesia non parla più della gente.
Nell’antichità la poesia era più amata, prendiamo ad esempio quella greca che era amata solo perché parlavano e si riferivano alle varie problematiche che interessavano la gente.
La poesia attuale invece interessa poco la gente, Giammario Lucini descrive la poesia attuale come una poesia autoreferenziale, una poesia che non merita di essere letta.
Io non sono d’accordo perché la poesia serve a svegliare le persone, la generazione di adesso troppo addormentata solo per volerselo chiedere.
“ il poeta nello scrivere se stesso, scrive il suo tempo”.
La poesia può cambiare il mondo, aiuta i giovani a capire la vita e aiuta i grandi a distrarsi dalla vecchiaia sempre più vicina. La poesia non ti può far sfuggire dalla morte, ma ti fa sfuggire da un mondo troppo distratto per guardarsi intorno e amare la vita, amare le piccole cose, i piccoli gesti, la semplicità, l’armonia. Ormai adesso nessuno pubblica più poesie. I prezzi troppo alti, l’editore troppo pretenzioso, troppa critica e si finisce col dire no alla pubblicazione di capolavori che rimarranno per sempre nascosti. La poesia contemporanea, infatti, è una poesia nascosta, oscurata dall’indifferenza e dall’ignoranza. La poesia sta affievolendo perché la vita non ha più senso ormai, la vita ha senso solo se l’uomo viene messo al centro come valore vitale ed essendo un valore può unirci tutti e può unirci tutti anche la poesia, sta affievolendo perché la poesia è incentrata sull’apparire e non sull’uomo. Perché i giovani non riescono ad aprire la mente? A lasciarla libera e a fare uscire i loro pensieri. Perché? Basterebbe solo questo per creare poesia: tutti i pensieri messi insieme, uno ad uno mescolati con i propri sogni, le proprie speranze e con un pizzico di emozione creerebbero poesia, creerebbero vita.
La poesia che si fa a scuola annoia i giovani: per loro la poesia è solo studiare la vita, la morte e le opere dei poeti. Fare la parafrasi, il commento e fare l’interrogazione. Prendere un buon voto e poi dimenticarsi tutto. Dimenticarsi il pessimismo del grande Leopardi, la convinzione che dentro di noi ci sia un fanciullino, qualsiasi sia la nostra età, di Foscolo, l’amore nei confronti di Beatrice da parte di Dante o la voglia di ricordare un grande storico come Napoleone da parte di Alessandro Manzoni. Si associa la parola noia alla parola poesia e viceversa, senza sapere di sbagliare tremendamente. La poesia non si può e non si deve insegnare, nessuno sarebbe in grado di farlo, nemmeno il più bravo scrittore, il più bravo insegnante. A mio parere l’insegnante deve solo capire cosa piace alla persona che ha di fronte, senza vederla come un alunno o come un amico, ma solo come persona. Se si accorge che quella persona è vuota dentro, non ha emozioni o se le ha non riesce a farle uscire fuori allora deve insegnar a liberarle quelle emozioni, a liberare tutti i suoi pensieri e a far capire che la poesia non si può definire, si può solo provare a farlo dicendo ad esempio che la poesia è un respiro profondo, che la poesia è la voce del silenzio e dell’anima, che è una musica senza note che risuona dentro il cuore di ognuno, che è un passaggio, un segreto che passa da una persona ad un’altra come una carezza, uno sguardo che sono silenziosi eppure racchiudono mille parole e anche quello sguardo o quello carezza o solo il mondo che ti giri e hai attorno è poesia perché la poesia è chiusa anche in un semplice atteggiamento quotidiano.
Tutto è poesia perché tutto è vita e perché in ogni gesto o in ogni carezza, parola o sguardo che sia è racchiusa un’emozione e se vita è sinonimo di emozione, un’emozione è sinonimo di poesia.
Platone diceva: “Al tocco dell’amore tutti diventano poeti”.
La poesia esiste ed esisterà sempre, anche se non verrà scritta o pubblicata sicuramente passerà almeno per la nostra mente e per i nostri pensieri, sarà dentro di noi sempre, sarà dentro anche di chi non lo sa ancora. Sarà nascosta dentro al cuore e batterà insieme ad esso a ritmo di vita.
Ivana Vinci

Scritto da il 24-03-2012    Commenti disabilitati su 11 marzo 2012. La Poesia al tempo della crisi