30 novembre 2008. “Azulene” di Fabrizia Sala

Presentazione del libro – Trapani 30 novembre 2008. Sala “G. B. Amico”  Seminario Vescovile


01Si è tenuta domenica 30 novembre nella sala “G.B. Amico” del Seminario Vescovile di Trapani la presentazione del Libro “
Azulene” di Fabrizia Sala. Preceduto dal saluto del Vicario Generale della Diocesi di Trapani don Liborio Palmeri, l’incontro con l’autrice ha visto la presenza di un folto e attento pubblico che ha seguito con emozione la lettura – a cura di Ornella Fulco – di due dei racconti contenuti nel libro. A seguire l’interessante dibattito – coordinato da Stefania La Via – sul valore terapeutico della scrittura a cui ha partecipato il dott. Enrico Genovese, psicologo e psicoterapeuta. Numerosi gli spunti di riflessione scaturiti anche dagli interventi del pubblico che ha mostrato tutto il suo apprezzamento all’autrice la quale, con generosità, ha destinato i proventi della vendita del libro al sostegno delle attività culturali della Fondazione Pasqua2000. Di seguito l’intervista con l’autrice realizzata da Stefania La Via.In un tuo racconto la protagonista definisce la scrittura un luogo fisico dove rifugiarsi per sfuggire ad un devastante senso di insicurezza. Sarebbe interessante sapere come mai hai pensato di pubblicare Azulene e qual è il tuo rapporto con la scrittura.

Ogni volta che trovo una motivazione plausibile mi sorge il dubbio che non sia quella vera. Ed è possibile inseguire tante verità, perché noi siamo molteplici. Parti di noi agiscono in modo consapevole, altre in modo del tutto misterioso. Io preferisco queste parti oscure, parti della mia identità che non sono ancora ben definite. Diciamo che parlare di cose che conosco di me stessa mi annoia un po’. Ho fatto conoscere Azulene per poter condividere una passione. Sapere che molti di coloro che hanno partecipato alla presentazione condividono la mia stessa passione mi rende felice. Un’altra motivazione plausibile potrebbe essere legata al concetto di tempo e memoria… La percezione del tempo cambia con il cambiare della nostra età. Tempo e memoria sono intrecciati nella storia dell’umanità e sembra che la parola scritta, e tutti i segni che l’uomo lascia durante il suo passaggio sulla terra siano un ottimo collante. Quindi mi viene da pensare che una motivazione potrebbe essere la consapevolezza che il morire porta inevitabilmente all’oblio. Avvertire la percezione del dolore del nulla. Tutte buone motivazioni, credo. Ma non so ancora bene perché abbia deciso di pubblicare. Forse è troppo presto perché io possa avanzare qualche ipotesi sostenibile.

Quanto c’è di autobiografico in questi racconti? Scriviamo per rappresentare il mondo o per raccontare noi stessi al mondo?

Tutto è autobiografico. Io credo che non si possa scrivere a prescindere dalla storia della propria vita. Anche le storie più fantasiose sono autobiografiche. L’autore si racconta in ogni caso. Trovo molto interessante la citazione di Freud quando dice in suo scritto: “non mi fido delle parole perché nascondono molto e rivelano poco di ciò che è realmente importante e significativo”. Quindi potrebbe essere che la finzione sia un modo legittimato a svelare la propria intima dimensione. Questo per me è l’aspetto meno interessante della scrittura. Quello che mi incuriosisce nel processo creativo è l’impulso, il demone che si presenta allo scrittore. Lo scrittore scrive in stato di trance, quasi sotto dettatura. L’Io perde il controllo vigile di sé e manifesta tutto un materiale creativo, a volte interessante, altre volte meno. Diciamo che il processo creativo nello scrittore è uguale sia per i grandi capolavori che per le opere che non hanno un valore fortemente artistico: è il risultato che è diverso. Un po’ come nel sogno. A tutti è capitato di desiderare di sognare qualcosa o qualcuno e il sogno ci porta da un’altra parte. Ovviamente lavorare sull’opera è tutt’altra cosa dello scrivere. Un racconto su cui ho lavorato poco è L’isola del pudendo. Un racconto al quale sono molto affezionata e che continua a piacermi. Un racconto al quale ho lavorato molto è Calzini a Rombi . E credo che, nonostante ciò, non sia uno dei migliori. Ma i temi che affronta sono ancora presenti dentro di me, credo che dovrò lavorarci ancora e meglio. In fondo questo è un libro dedicato ai miei allievi della scuola di scrittura che ho condotto insieme al prof. Mugno che ringrazio per aver letto e dato valore ai miei racconti. E come tale, dicevo, Azulene è un invito per loro a scrivere, mettendosi in discussione tutte le volte, se necessario. Insegnare a scrivere è impossibile, diceva Raymond Carver, imparare a scrivere si può. Ovviamente i geni hanno dalla loro parte il soffio del divino. E grazie a loro l’umanità gode di una letteratura sublime.

La tua è una scrittura che definisco sensitiva.

Beh, si. La mia scrittura è la mia vita. Nel senso che per me cogliere i particolari è un esercizio quotidiano. Direi che vivo di dettagli. Come nella letteratura noir, un dettaglio è la chiave di tutto. Dire che la natura è bella non significa molto di più che dire che è brutta o cattiva… Dire “ti amo” o “non ti amo”, non significa assolutamente niente. Dire “ti amo perché quando hai freddo arricci il naso” ha un altro sapore, è un’altra cosa. Dire “la luna è bella” non ci arricchisce. Nel mio racconto Azulene descrivo la luna come una tentazione alla quale non so sottrarmi. L’influsso lunare mi riporta al desiderio di rivivere l’adolescente che sono stata. Un’adolescente, dunque, che possiede la vita. Conviviamo per tutta la vita con questa nostalgia di onnipotenza, di assoluto. I colori sono la mia passione. Li vedo, li focalizzo, diventano storie. L’ambiente per me è vitale, incanala le mie energie. Ci sono persone che passano l’intera esistenza senza cogliere qualcosa che potrebbe cambiare il corso della loro vita. Un dettaglio. Dai dettagli si arriva a Dio. Dio per un bambino è un dettaglio. Una carezza, data al momento giusto. Un sorriso che viene dal cuore. Spesso inseguiamo grandi cose, grandi sogni, insomma, ci perdiamo nel groviglio esistenziale. Nel mio racconto La ricetta descrivo il mio rapporto con il pomodoro pelato…Piccoli dettagli per sopravvivere!

Come scrivi i tuoi racconti? Hai un metodo che ci puoi riferire?

Partendo da un dettaglio, appunto. A volte i dettagli sono inizi di racconti che magari non scrivo o non scriverò mai ma alcuni altri sono veramente belli. Il racconto Soffice nevenasce così. Mi succede che, a volte, un’emozione, una battuta tra due persone sconosciute, un pensiero mi riportano all’idea di scrivere un racconto. Non è il racconto ad interessarmi ma il dettaglio da cui partire. Carver  in un suo saggio sulla scrittura raccontava ai suoi allievi che alcune frasi erano belle e che avrebbe voluto inserirle in un racconto. Anche con mio marito mi succede. Lui mi parla ed io gli dico: “belle queste cose che stiamo dicendo. Starebbero bene in un racconto”. La vita è piena di spunti, di incipit. A pensarci bene, per me tutto starebbe bene in un racconto. Il problema è lo stile di uno scrittore. E lo stile rende il dettaglio qualcosa di eccezionale.

Cosa è lo stile?

È come la personalità. Siamo tutti persone ma abbiamo personalità diverse. Perché la personalità è la combinazione di miliardi di elementi. Penso all’aspetto genetico di ciascuno e a tutte le esperienze della vita che si fondono, l’ambiente familiare, sociale, l’ambiente emoziona. La vita vissuta, l’amore, il sesso, la religione. Mille aspetti della nostra realtà psicologica. Il nostro linguaggio. Le favole che abbiamo amato. La personalità appunto. Lo stile è quella cosa lì. Per cui uno scrittore ha il suo stile e con quello racconta perché è la sua personalità che racconta.

Vorrei citare dei versi di Pessoa che mi hanno sempre affascinata: “il poeta è un fingitore/ riesce a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente”. È necessario aver sofferto per scrivere della sofferenza?

La finzione è autenticamente vera, nel senso che nell’artista il limite tra realtà e finzione è davvero sottile. Io aggiungerei anche la citazione di Oscar Wilde, che mi sembra molto interessante. “ Nell’arte è la natura ad imitare la cultura e non viceversa”. La natura, così come è, è terribilmente devastante per l’uomo. Pensiamo ad una morte violenta, ad una malattia che colpisce noi o i nostri cari, pensiamo al decadimento fisico che l’età comporta, alle guerre, ai disastri naturali. Ecco, l’uomo ha dovuto fare i conti da millenni con tutto questo. E allora ha inventato una storia che avesse senso per tollerare tutta l’angoscia che la natura porta in sé. Nasce la storia sul mondo, i vari miti sulla creazione, le religioni, la morale, la politica. Insomma l’uomo “inventa” la natura e la rende vivibile e anche plasmabile a sua immagine e somiglianza. I miei pazienti, dopo un lungo percorso terapeutico, escono dal caos naturale delle loro emozioni e cominciano  a dare senso alle loro ferite. Diciamo che sono guariti solo quando sono in grado di raccontare la storia della loro vita, nel senso che la ricostruiscono a partire dei dati di realtà di ciascuno; ma in questo processo – che è creativo – aggiungono, sottraggono, fingono, come dice Pessoa, elementi che giustificano tutto quanto accaduto nella loro esistenza.

Ma qual è allora la differenza tra una storia clinica e una storia letteraria?

Jung ha dato un grande contributo per la comprensione della letteratura clinica in contrapposizione a quella letteraria. Lo stesso Freud è stato più volte accusato di essere stato un grande romanziere. E proprio perché la psicoanalisi lavora sulla storia del paziente, ne traccia l’evoluzione. Semplificando possiamo ragionevolmente dire che una storia letteraria contiene in sé la storia clinica. È sorprendente quanto in un romanzo di un autore di cui non ricordo il nome in questo momento, sia stato interpretato il sogno del protagonista con le stesse regole della psicoanalisi, mentre lo scrittore non ne era mai venuto a conoscenza. Lo stesso dicasi per Pirandello, di cui ci risulta non abbia mai letto Freud. La letteratura racconta dell’uomo, della sua complessità. Mostra il personaggio per quello che è, dell’uomo che potrebbe essere il nostro vicino di casa. Nella letteratura analitica diciamo, con un po’ di fantasia, che questo personaggio va in terapia. Memorie dal sottosuolo. Un romanzo da leggere! Esemplificativo di tutto quanto sto tentando di dire non senza difficoltà, perché la sintesi , come in questo caso  non è sempre felice.

Hai citato Pirandello. Mi viene in mente la straordinaria opera “ Sei personaggi in cerca d’autore. I personaggi chiedono al regista di cambiare il loro copione. Nella realtà come si realizza tale finzione?

Credo che Pirandello sia stato straordinario. Non dovremmo mai smettere di amarlo. La sua invenzione è quella di avere reso credibile la finzione e anche il suo contrario. Noi siamo come i sei personaggi. Ci portiamo dentro un copione che hanno costruito per noi e con quello senza rendercene conto andiamo per il mondo. Non abbiamo spazio di autonomia e quando ci sentiamo liberi in realtà stiamo semplicemente mettendo in scena la nostra parte, in maniera coattiva. Anche se siamo felici e soddisfatti quindi, non solamente tristi e infelici stiamo recitando quella parte e non un’altra. Eric Berne ci ha fornito uno studio davvero interessante sui copioni esistenziali.

Cosa succederà dopo Azulene?

Mi piacerebbe inventare storie e situazioni molto lontane dalla mia condizione esistenziale. Esperienze lontane dalla mia persona, dal mio mondo affettivo. Per esempio raccontare di un uomo stimato, colto, ricco che prenota un viaggio all’estero per consumare in modo brutale la sua sessualità sui bambini. Oppure raccontare di una donna che non esce dal suo guscio di ritardata mentale…

Come mai non potresti farlo?

Forse perché sono una terapeuta e questo condiziona la mia scrittura. Il lavoro su di me, durato per anni e che ancora continua, ha permesso a parti di me, non sempre tollerabili, di trovare un’adeguata riappacificazione. Nella realtà, infatti, quello che faccio come terapeuta è giustificare, dare senso al disagio, alla stessa crudeltà, qualora questa dovesse emergere senza controllo, all’ inibizione affettiva e mentale. Il mio è un lavoro sull’uomo, sulla sua storia personale, sulla sua solitudine. E nel percorso terapeutico il paziente ed io ci impegniamo in un processo di risanamento, poiché sono convinta (lo dice la letteratura clinica e anche la mia lunga esperienza) che ciascuno riflette irrimediabilmente nella vita ciò che ha subito. Ecco, mi piacerebbe come scrittore spogliarmi del ruolo di psicoterapeuta e cogliere la persona nella sua autenticità. Vorrei che fossero gli altri, i lettori, i veri protagonisti, regalando loro storie autentiche.

Già, i lettori! In che rapporto sei con loro? Avevi in mente un tuo “lettore ideale” mentre scrivevi?

Ho bisogno di sapere che chi mi legge lo fa perché è interessato al mondo della letteratura. Non mi aspetto che mi si legga. Anche io sono una lettrice divorante. Non si legge sotto dettatura né per compiacere qualcuno. Spero solo di comunicare attraverso i miei personaggi qualcosa che ci accomuna tutti. Perché credo nel valore della letteratura, io devo molto agli scrittori. Ho imparato molto, ho appreso il male che gli uomini compiono e il valore del bene. La vera letteratura ci rende inevitabilmente buoni. Leggete La fame di Knut per comprendere un gesto di generosità verso chi è povero o Jean Claude Izzo, per citarne alcuni o Aspettando i barbari o il Deserto dei Tartari

Sono questi i tuoi scrittori preferiti?

In tempi diversi autori diversi, classici e moderni. Sono tanti, tantissimi, uomini e donne. Ho amato gli scrittori insieme alle opere. Sono sempre stata affascinata dalla loro vita. Ho letto infinite biografie. Fin da ragazza ricordo che sarei impazzita se avessi potuto conoscere Moravia che tanto amavo. La noia è stato un romanzo forte, uno di quelli che mi ha aperto gli occhi al mondo. Alcune opere mi hanno, comunque, cambiato la vita. Voglio condividere con voi un aneddoto legato alla letteratura. Si avvicinava il mio compleanno. Compivo cinquant’anni! Un po’ provata vagavo per la città. Poi il mio rifugio in biblioteca. Per caso ebbi tra le mani le lettere di Dostoevskij al fratello Nicolaj.  E lessi che il giorno 22 dicembre del 1849 – dunque cento anni prima e proprio il giorno del mio compleanno – lo scrittore era stato graziato dalla pena di morte e scriveva: “sono vivo, sono felice e anche se andrò ai lavori forzati sarò felice ugualmente, perché la vita è ovunque!” Da quella lettura ho appreso due cose: la consapevolezza del valore della vita per me, che non ero condannata a morte, almeno non in quel momento; e l’emozione che provoca una ferita, quella  di non poter comunicare con i propri fratelli, per pudore forse, per educazione, con altrettanta intimità. Volete sapere come è andata? Organizzai una bella festa con i miei amici e fui felice di condividere la mia rinascita. Quanto alla corrispondenza intima tra fratelli, ho imparato, con dolore, che non sempre dipende da noi. L’intimità credo sia la cosa più difficile da realizzare nella vita. Quel che tento di fare nella mia esistenza è essere intima. Comunicare un po’ di me. Come direbbe il mio amico Enrico Genovese, nel suo splendido racconto: mostrare l’essere umano che sono, così com’è, ossia un Viandante.

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