27 marzo 2010. Vernissage della mostra “Tra terra e cielo” di Mirta De Simoni

Ad dominam per dominam. La condizione umana al femminile. Tre donne, tre sofferenze

Chiesa Sant’Alberto – Trapani

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TRA TERRA E CIELO (di Marcello Farina)

È un bel titolo quello che Mirta De Simoni Lasta ha voluto dare alla sua personale. Dà subito l’impressione di un arcobaleno, di un ponte librato in aria, pronto a collegare insieme realtà molto diverse per consistenza e significato: il cielo, leggero e penetrabile con un volo che porta con sé aneliti, desideri, aspettative, ideali “alti”, capaci di vincere la pesantezza e la forza di gravità che ostacolano la salita; e la terra, che richiama alla concretezza degli eventi, alle scelte quotidiane, ai segni dei corpi delle donne e degli uomini, luoghi della fatica, dell’amore e del dolore insieme, recanti nel profondo la memoria che la vita non tralascia mai di sedimentare.

Innalzamento e caduta ad un tempo: come a Pasqua. Discesa agli inferi e risurrezione: come accade spesso nella storia delle generazioni. Questa “personale” di Mirta De Simoni ci invita a non scindere i due poli della sua ricerca, a tenerli insieme, quasi a farli dialogare, perché ci si accorga, per così dire, che non c’è cielo senza terra (sarebbe pura illusione, “alienazione”) e non c’è terra senza cielo (sarebbe crudele fatalismo, pura rinuncia alla lotta). Mi vengono in mente le provocatorie immagini di Ludwig Feuerbach: «Ciò che è dato al cielo è tolto alla terra!» e l’altrettanto provocatorio invito di Federico Nietzsche: «Fratelli, siate fedeli alla terra…»; che è un manifesto da accogliere senza resistenze di sorta. Del resto, che cosa c’è di più “terrestre” della via Crucis, con tutto il carico di umanità che essa porta con sé? E il suo percorso, che è centrale in questa esposizione, “contagia”, per così dire, anche le altre opere, sia “Fondali” che “Bread” riferiti alla storia concreta di donne e di uomini di cui Trapani e la Sicilia scoprono quotidianamente la fatica, la sofferenza, i sogni traditi e le richieste deluse. Perfino la Madonna dell’Annunziata e Sant’Alberto di Trapani, così come sono stati interpretati dall’artista, puri segni affidati alla grafia e al colore, cui viene affidato il compito di comunicare nell’immediatezza, sono interlocutori di un’umanità, che urge per essere riconosciuta, ascoltata, soccorsa. Terra e cielo vanno tenuti insieme nel mistero di Pasqua; disgiungerli vorrebbe dire svuotare la sua profondità e la sua forza evocativa, così come queste opere vogliono farci percepire. Mirta De Simoni compie la sua “performance” usando, come si può notare immediatamente, un linguaggio pittorico astratto, fatto di spazi, di linee, di tratteggi, di fasci di luce o di oscurità. Ad esso, come per renderlo efficace e versatile, accompagna il colore, che è come la parola, che interpreta ciò che a prima vista può sembrare muto, quasi troppo essenziale e povero per esprimere con compiutezza un discorso, una comunicazione d’esistenza. Segno e colore per esprimere la vita, l’esistenza delle donne e degli uomini, la loro povertà e la loro ricchezza, la loro “terra” e il loro “cielo”, il dolore e l’amore, la sofferenza e la speranza, il sepolcro e l’ascensione. Si potrebbe anche dire: scompare il singolo, la figura concreta, un volto riconoscibile, per non chiudere in esso l’attenzione e la partecipazione emotiva di chi l’osserva, così da farne, invece, un universale in cui tutti possono riconoscersi, interprete di tutti e di ognuno, come a dire che gioie e dolori, aneliti e delusioni, vittorie e sconfitte, risurrezioni e cadute sono esperienze comuni, cioè “umane”, quotidiane. Così le immagini perdono le caratteristiche di “scena”, per diventare motivi di riflessione per l’espressività del “pathos” esistenziale, talvolta più nervoso, altre volte più pacato, quasi a registrare la variabilità degli stati d’animo che accompagnano la vita di ciascuno. Ho trovato significativo il fatto che la “Fondazione Pasqua 2000”, che ha promosso con entusiasmo questa personale di Mirta De Simoni, abbia nel suo “logo” (la stella a otto punte – ogdoade) i tre colori primari, quelli che servono a formare tutti gli altri: il rosso, il giallo e il blu. Sono, se si presta attenzione alle opere esposte, anche i colori usati dall’artista, magari con piccole variazioni di intensità (il blu “sbiadisce” talvolta nell’azzurro…); il rosso a dire il sangue della cultura che scorre nella storia dell’umanità, cioè negli stili di vita delle persone e nella loro faticosa esperienza di lotta per la vita e per la morte; il giallo, colore della luce, e quindi della creatività degli artisti e della novità che può irrompere nel tempo dell’uomo, così da renderlo “tempo favorevole”; il blu (l’azzurro – celeste), colore freddo della meditazione e dell’incontro dell’uomo con il divino, della spiritualità che pervade tutta l’opera di Mirta De Simoni. E non è solo il blu (o l’azzurro) del cielo che qui da voi, a Trapani, s’impone, ma anche quello del mare, a sua volta richiamo e smentita, vita e morte, speranza e tomba di aneliti coltivati e condivisi. Chi passa di quadro in quadro, di rappresentazione in rappresentazione, soprattutto della via Crucis, non può non immedesimarsi in un mondo composito, evocativo, plurimo, che i segni astratti e i colori significano, e sentire da vicino che essi interpretano profondamente l’urgenza di umanità che il mistero di Pasqua tiene comunque viva di anno in anno, di stagione in stagione, per tutti. Si instaura così, a me pare, una singolare sintonia tra lo spirito che sta alla base dell’attività di Fondazione Pasqua 2000 e la sensibilità dell’artista, entrambe coinvolte a render ragione, per così dire, di ciò che le ha “convinte” ad incontrarsi e a farci gustare, attraverso queste opere, quanto valga la pena di tener vivo il senso della Pasqua, in un momento della storia dell’umanità in cui la terra e la sua opacità, sembrano inghiottire il cielo e la sua profondità, e le donne e gli uomini, delusi, sembrano rinunciare a coltivare segni e colori di risurrezione.

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