“E’ l’alba primordiale, e noi cominciamo a parlare, lisci, ad apprendere ancora una volta la lingua che dell’acqua avevamo perduto, dei laghi stupefatti, della neve che riposa in un sonno pluviale sui crinali dei monti…” (da “Acqua” – “Il canone del tè”, Renzo Cremona)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo di una spettatrice che ha assistito al reading e ha voluto condividere con noi le sue emozioni.
“In piedi, appoggiata al muro, ho voglia di scivolare lentamente e sedermi sul pavimento; ma i miei cinquant’anni non mi danno il permesso. Eppure, sento che scivolare fino a posarmi per terra mi aiuterebbe: raccoglierei le ginocchia al petto, poggerei i gomiti sulle ginocchia, nasconderei la faccia tra le mani ed entrerei tutta dentro me stessa.
E sotto la potente suggestione delle poesie, sotto l’influsso magico della musica “ascosa”, dei profumi e sapori dei tè che mi vengono serviti in silenzio, forse riuscirei a ricordarmi la strada per tornare a quell’altrove dove non sono mai stata, a quella parte del mio passato che non ho mai vissuto e a riannodarmi al filo della mia poesia interrotta.
Una nostalgia struggente scende liquida dai miei occhi mentre sento fiorirmi in faccia un sorriso idiota. Il poeta e le sue vestali parlano della mia casa, del mio giardino, della mia vita perduta. Poi, si fermano per compiere il rito del tè.
E io lo so – perché lo vedo – che poeta e vestali sono sul palco di una sala conferenze, davanti ad un pubblico in religioso silenzio del quale faccio parte, ma “credo”: che stanno bevendo il tè in casa mia, nella mia vera casa, dove io non posso entrare.
L’ultima poesia; gli applausi soffocano le ultime note. Il pubblico si frammenta in piccoli gruppi: alcuni si scambiano le proprie impressioni, altri vanno a salutare il poeta, altri ancora si affrettano all’uscita rientrando poco dopo con dei libri in mano. Sembra che nessuno voglia andarsene.
Anch’io non ho voglia di andarmene, anch’io voglio salutare il poeta, confidargli le mie emozioni, la mia nostalgia; ma prima raggiungo la piccola folla assiepata appena fuori dalla sala e chiedo di acquistare “Il canone del tè”. Tutte le copie sono già esaurite; una delle vestali mi soccorre, suggerendomi “Tutti senza nome”. Prendo anche “Oz” e mi avvio trafelata verso il palco.
Raggiungo il poeta, mentre tiene fra le mani la mano di un vecchio signore dal sorriso beato, che gli sta dicendo qualcosa; altri sono già in attesa.
Finalmente riesco a farfugliare quello che sento e, inaspettatamente, il poeta mi risponde che le mie sono le emozioni che spera sempre di suscitare, soprattutto con “Il canone del tè”; mi scrive due meravigliose frasi d’augurio, una su ciascuno dei due libri che gli porgo: auguri di libertà, di spazio, di tempo, di silenzio. Lo ringrazio commossa. Vorrei dirgli che la mia vita è una continua lotta per la libertà, lo spazio, il tempo e il silenzio, ma di nuovo non mi do il permesso: non posso trattenere oltre la sua attenzione.
Arrivo a casa e trovo tutte le scuse per ritardare il momento di immergermi nella lettura. Ho paura: paura di restare delusa, paura di scoprire che, senza musica, senza bicchierini da tè, senza voci suadenti…
Alla fine cedo. E la magia ritorna: nuda, splendente”.